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Cenni storici

È convinzione di molti che su questo territorio si snodasse una strada militare romana che da Vado (Savona) conduceva ad Ormea, come confermato dal rinvenimento di una lapide in regione Candia (1814), che è attualmente conservata Al Museo Civico di Torino, sulla quale sono incise le parole Hic iacet Valerius (qui giace Valerio).
Caduto l’impero romano d’occidente, anche Bagnasco dovette seguire le conseguenze delle invasioni barbariche e “moresche”; verso l’890, infatti, un manipolo di Saraceni, provenienti dalla Spagna, naufragò, in seguito ad una proverbiale burrasca, e si ritrovò sulla spiaggia di Frassinet, presso Saint-Tropez (Francia), dove trucidò gli abitanti e s’impadronì del luogo.
Altri Saraceni si unirono a questi ed in seguito, annidandosi nella vallata tiranneggiarono a lungo l’entroterra Ligure e Piemontese. Giunsero probabilmente nella Valle del Tanaro nel 921 e vi rimasero fino l’anno 1000 circa, insediandosi, in quel di Bagnasco, nei pressi del luogo che fu poi detto di Santa Giulitta in un preesistente castello, e tra quelle rocce trovarono sicuro rifugio.
Da quell' altura dominavano la valle sottostante, assicurandosi così anche il valico verso il mare, percorso ogni giorno da viandanti carichi d’olio e di sale. Essi misero a ferro e fuoco il territorio e furono il terrore della popolazione, tant’è che il loro capo, il feroce Sagitto, fu poi stanato e ucciso presso Acqui assieme alla sua banda (936).
Il ribat dei Saraceni era ubicato nei pressidel sito dove fu poi edificata, verso l’anno 1000, la cappella dedicata a Santa Giulitta, omaggio dei Bagnaschesi ormai liberi dall’oppressione araba. Alcuni rovine, ancora oggi riconoscibili, confermano la permanenza dei Saraceni, quali il mulino presso il torrente che segna il confine tra Bagnasco e Priola e alcuni muri di pietre squadrate e legate acalce, ai piedi della roccia della Croce.
Notizie storiche più precise riguardano il periodo dall’anno 1000 al 1800 circa: Bagnasco è, infatti, nominato nel diploma d’Ottone I tra i domini di quel Imperatore e tra quelli donati in seguito ad Aleramo, che da questi luoghi contrastava il potere dei Saraceni. Successivamente, per una divisione avvenuta tra i marchesi del Vasto, Bagnasco dipese dai Marchesi di Ceva, che rapidamente ottennero un rilevante potere sul territorio: coniarono monete, innalzarono castelli, strinsero alleanze politiche, si imparentarono conCasa Savoia, fino a formare un feudo dioltre cento castelli.Il loro dominio fu tale e incontrastato da improntaretutto il territorio del Marchesato.
In questo modo la storia di Bagnasco si confonde, per parecchi secoli,con quella del Marchesato di Ceva. Il marchese Bonifacio, con testamento datato 5 ottobre 1125, suddivise tutto il territorio trai sette figli. Alla sua morte, nel 1142, gli eredi ripartirono il dominio eBagnasco ed altre terre finirono nel quarto lotto, destinato ad Anselmo.
Disceso in Italia, Carlo I d’Angiò, invitato dal Papa alla conquista del regno di Napoli,ricevette l’omaggio di Giorgio II il Nano, storico marchese di Ceva: in questo atto di sottomissione (23 febbraio 1260) Bagnasco figura per metà, con Massimino ed altri comuni. Tale atto di vassallaggio è dovuto al fatto che Carlo I d’Angiò aveva occupato Alba, cui Giorgio II aveva ceduto tali castelli.
In seguito ad aspre lotte tra Guglielmo III (signore di Lesegno e Priola) e Giorgio II suo nipote, questi si appoggiò alla repubblica d’Asti cedendo il Marchesato di Ceva (1295).Se solo alcuni anni prima Giorgio II il Nano aveva visti confermati i suoi diritti su Bagnasco, è ovvio credere che anche il nostro borgo abbia seguito le sorti del marchesato di Ceva, condividendo per lungo tempo le sorti della repubblica di Asti.
L’avvento di Enrico VII di Lussemburgo nel 1311, fu causa di nuovi turbamenti poiché questi, cedendo ad Amedeo V di Savoia la Repubblica di Asti e quindi con essa il Marchesato di Ceva, (che si dimostrò sempre disposto al passaggio sotto il dominio sabaudo), causò l’indignazione del Vescovo e della famiglia Solari che parteggiavano per la dominazione angioina e si opposero a tale cessione.
Dopo molte vicende il Marchese di Ceva giurava fedeltà a Giovanni di Monferrato, quindi al Duca di Milano, Barnabò Visconti, chenonostante avesse stipulato con Asti (1342) un patto di alleanza, invase il territorio del Marchesato di Ceva (che aveva aderito al patto) e lo occupò dal 1352 al 1357, estromettendo il marchese Bonifacio, ultimo degli Aleramidi. Tra i signori che parteciparono a quest’operazione militare emerge Giorgino, marchese di Bagnasco, con il suo esercito. Una nuova guerra contro i Visconti, che vedeva rafforzata l’intesa tra il marchesato di Ceva, il marchese di Monferrato e la Repubblica di Asti,e durata sino al 1382, terminava drasticamente con un’azione dibassa perfidia. Gian Galeazzo Visconti, approfittando dell’inesperienza dell’ultimo rampollo dei Monferrato, il marchese Teodoro, riuscì a strappargli un trattato il quale stabiliva che Bagnasco e gli altri domini cebani passassero ai Visconti.
Nel 1386 Gian Galeazzo concesse sua figlia Valentina in sposa a Luigi d’Orleans, fratello di Carlo VI re di Francia, e le assegnò in dote alcune terre tra cui il marchesato di Ceva (che comprendeva ancora Bagnasco), atto fortemente contrastato dai duchi di Savoia che vantavano diritti su Ceva per una concessione imperiale del 1313.
Successivamente Amedeo VIIIdi Savoia fece occupare la nostra zona nel 1414, assumendo il titolo di Marchese di Ceva.
Nella prima metà del secolo XVI Francesi e Spagnoli dominarono alternativamente queste terre, finché Carlo V, cedendo alle pressioni dell’imperatrice Elisabetta del Portogallo, donò (3 aprile 1531) il marchesato a Beatrice sua sorella e moglie di Carlo III di Savoia. Non cessarono però le lotte interne fra il potere municipale e quello feudale, mentre le dominazioni straniere (francesi, tedesche e spagnole) si succedevano rendendo più dura la condizione del popolo; tale periodo di tristi vicende portò alla distruzione del castello di Bagnasco, considerato un tempo un’importante fortezza da cui dipartivano le mura che cingevano il borgo maggiore, fortificate da torri che verso il 1840 erano ancora undici. Le torri servivano anche come vedette. Il borgo era inoltre protetto da alcune porte: Porta Bramosa, Porta della Poggia, Porta del Fusaro o Fusato, Porta Scarrone. Il castello fu demolito dalle artiglierie mandate dal forte di Ceva per ordine del maresciallo di Brissac (1556), governatore dei domini al di qua delle Alpi.
Il marchesato di Bagnasco così venne cedutodai Ceva e passò sotto altre signorie finchè il marchese Scipione del Carretto, con atto 18 maggio 1580, cedette ogni suo diritto su Bagnasco al duca Carlo Emanuele I di Savoia, sicché da allora seguì le fortunose vicende dei Savoia.
È curioso ricordare che anticamente a Bagnasco circolavano le monete Bagnaschine o Genovesine, coniate dalla zecca di Genova ed il valore era fissato dai mercanti del luogo. Un atto notarile datato 25 giugno 1391 stabiliva che Bagnasco doveva pagare, annualmente, sia in tempo di pace che di guerra, 455 lire in “moneta Bagnasco” per roide, novene e fitto a Giorgino marchese di Ceva e signore di Bagnasco, a Gugliemo e Giannone suoi figli, unitamente ai vassalli del marchese Odarino e Oddino di Pornassio. Tale moneta circolava ancora nel 1600.
Durante la dominazione napoleonica fece parte del dipartimento di Montenotte e proprio Napoleone, con un decreto, riconobbe a Bagnasco l’esclusività del Ballo delle Sciabole, che la leggenda vuole di origine saracena.
Nel 1796 la colonna francese, comandata dal generale Serrurier, passò per la valle Tanaro e si unì a Napoleone che, dopo le vittorie di Dego e Millesimo e della Pedaggera sulle truppe Austro-Sarde vinceva ancora i Piemontesi alla Bicocca di San Giacomo, successo decisivo che condusse alla firma dell’armistizio di Cherasco.
Le alterne e complicate vicende storiche, a volte anche drammaticamente tumultuose, hanno condizionato la vita degli antichi bagnaschesi influenzandone leabitudinie i modi di vivere. Ogni potere costituito volle lasciare impronta sul territorio sul patrimonio, seppur semplice, artistico e architettonico inun insieme molteplice di segni, leggibili tutt’oggi sui muri come testimonianza di fastoso ma illusorio, passato.






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